L’osteoporosi è una patologia metabolica caratterizzata da un deterioramento strutturale del tessuto osseo e da una ridotta densità minerale: tutto ciò riduce la resistenza dell’osso, portando ad un aumento della fragilità scheletrica e ad un’elevata suscettibilità alle fratture.
È una problematica in costante aumento: in Italia circa 4 milioni di donne e 800.000 uomini sono affetti da osteoporosi e l’incidenza delle fratture da fragilità ad essa correlate è pari a 410.000/anno, di cui oltre 155.000 vertebrali, che costituiscono appunto l’evento clinico più comunemente associato a tale patologia.
Le fratture vertebrali da compressione si verificano sostanzialmente per un’alterazione della normale biomeccanica della colonna: infatti con l’avanzare dell’età, il baricentro delle vertebre si sposta progressivamente in avanti, determinando un aumento della cifosi ed una rettilineizzazione della lordosi fisiologica. Dopo il primo evento fratturativo, il rischio di incorrere in una nuova frattura vertebrale aumenta di 5 volte in un anno. Tali situazioni possono determinare ricoveri prolungati, con conseguente aumento della perdita di massa ossea e dolore cronico associato a disabilità, con pesanti sequele psicologiche per il paziente.
Pertanto, ridurre il periodo di immobilizzazione/allettamento e risolvere precocemente il dolore deve essere l’obiettivo principale della terapia del paziente con osteoporosi severa.
L’impiego di stimoli fisici per favorire la guarigione del tessuto osseo è una pratica ormai riconosciuta e validata da numerosi studi scientifici internazionali.
L’efficacia della stimolazione biofisica nell’accelerare la guarigione di fratture, nel favorire la consolidazione di artrodesi vertebrali e nell’esercitare un effetto anti-infiammatorio, ne costituisce il razionale d’impiego anche nelle fratture da fragilità.