Dal 31 luglio al 1 agosto 2013 si è tenuto a Philadelphia il Primo Consensus Meeting sulle infezioni periprotesiche.
L’incontro è stato organizzato dal prof. Javad Parvizi del Jefferson Institute di Philadelphia e da Thorsten Gehrke dell’ENDO Clinic di Amburgo.
Vi hanno partecipato 400 “esperti” da tutto il mondo in rappresentanza di 52 nazioni e 100 società internazionali.
Questo è il risultato di mesi e mesi di lavoro, analizzando più di 3.500 pubblicazioni e di 25.000 comunicazioni scambiate via ForMD, cercando di porre le basi per cercare di creare delle linee guida internazionali.
Sono state poste 207 domande alle quali si è cercato di dare una risposta esaustiva.
Questo incontro ha dimostrato come il problema delle infezioni, in generale, e dell’osso in particolare interessi il mondo medico, ma anche il mondo economico e sociale, visti gli alti costi di queste patologie.
Si è discusso sulla necessità di creare centri di riferimento per il trattamento di queste patologie come, per altro, già si fa, per l’oncologia o per la traumatologia (“trauma center”).
Nel mondo s’impiantano un milione e mezzo di protesi d’anca ogni anno, di cui 300.000 negli Stati Uniti; l’Italia è fra i Paesi europei dove si effettua il maggior numero di sostituzioni d’anca.
Su circa 700.000 interventi eseguiti ogni anno in Europa, infatti, oltre centomila riguardano il nostro Paese, che è superato soltanto da Germania (250.000) e Francia (130.000) e precede Regno Unito (90.000) e Spagna (70.000).
Il numero di impianti aumenta del 5% ogni anno e la spesa di un miliardo e trecento milioni di euro corrisponde, in Italia, all’1% del Fondo Sanitario Nazionale.
A questa cifra vanno aggiunti quegli oltre 500 milioni di euro spesi per la riabilitazione successiva all’intervento.
Nel 65% dei casi la sostituzione dell’anca riguarda le donne, e la percentuale sale al 75% se l’impianto è successivo a una frattura da osteoporosi.
Ormai non è raro intervenire su 30 o 40enni e ogni anno sono 20.000 le protesi che vengono impiantate in under 65, 5.000 quelle inserite in persone con meno di 50 anni.
Le nuove ceramiche possono perciò garantire una durata e una resistenza superiori, a un costo solo relativamente più alto, si parla di qualche centinaio di euro in più su impianti che di norma costano fra i 3.000 e i 4.000 euro.
I dati che riguardano la protesica di ginocchio si basano su circa 500.000 impianti annui in Europa e con un trend di aumento maggiore dell’anca, del 6-8% annuo.
Le infezioni periprotesiche rappresentano dallo 0,5 al 3% di tutte le protesi impiantate e di quelle revisionate si può arrivare anche al 20%.
Va anche considerato che trattasi, per lo più, di pazienti anziani con associate, frequentemente, altre patologie (diabete, cardiopatie ecc.), inoltre l’uso prolungato di antibiotici produce effetti collaterali, come nefropatie ed epatopatie. Il paziente ricade sulla famiglia e sul volontariato, in quanto i figli hanno poco tempo da dedicare agli anziani genitori.
I pazienti portatori di un’infezione periprotesica subiscono molti interventi e talvolta con riaccensione della patologia, quindi sfiducia nel sistema sanitario. Da considerare, che anche dopo molti interventi, si può arrivare all’amputazione e rischio vita e il paziente stesso, come in tutte le malattie croniche, abbisogna di un supporto psicologico.
Per il sistema sanitario, l’impegno è molto importante, in quanto si tratta di pazienti con degenze lunghe, non sono previste aree di sicurezza, si può avere una contaminazione di altri pazienti.
Questa chirurgia abbisogna di aree protette sia chirurgiche, che rianimatorie che di degenza. Inoltre il quadro prettamente chirurgico presenta notevoli difficoltà tecnico-decisionali vista la cronicità della malattia, le condizione generali del paziente e la condizione del bone stock locale.
Ora, come si può ben immaginare, questi dati hanno indotto gli specialisti all’incontro descritto che ha portato, per la prima volta, a dare delle indicazioni sulla base delle valutazioni fatte.
Al meeting non hanno partecipato solo ortopedici ma anche infettivologi, microbiologi, anatomo-patologi dello scheletro, anestesisti, dermatologi, radiologi dello scheletro, radiologi di medicina nucleare, reumatologi, chirurghi veterinari, farmacisti, un esperto nello sviluppo del consenso e un manager di biostatistica e bioetica.
L’aspetto positivo dell’incontro è stato quello di un confronto tra realtà diverse, diversi modi di vedere e affrontare la patologia e il suo trattamento.
L’aver fatto il punto sulla conoscenza attuale dell’argomento, valutando le pubblicazioni degli ultimi 10 anni.
Aver tolto o modificato dei concetti che sembravano certi e che si stanno modificando basandosi sull’evidence based medicine (EBM).
L’aspetto negativo, se così si può definire, è aver compreso come alcuni punti rimangono ancora incerti e aver scoperto come molti aspetti vadano approfonditi alla luce delle nuove esperienze che, attualmente, si basano, soprattutto, sulla prevenzione dell’infezione, come i rivestimenti protesici o i sistemi per evitare che il biofilm si formi, o i modi per distruggerlo.
Con questo incontro si è aperta una porta al di là della quale si sono trovate altre porte che andranno aperte, ma questo ha dimostrato la volontà di tutti a partecipare e noi, come Europa e come Italia, siamo stati e saremmo presenti. Il tutto si è basato sul metodo “Delphy” che consiste nel dare una risposta percentuale alle domande presentate (indicata tra parentesi in blu alla fine di ogni domanda). Sono state considerate positive solo se la percentuale dei votanti avesse raggiunto l’87% del totale dei presenti.
A conclusione di questa breve prefazione, prendendo in prestito la frase scritta da Benjamin Franklin riportata nella prefazione del lavoro del consensus: “The doorstep to the temple of wisdom is a knowledge of our own ignorance”, che racchiude in sé lo spirito e il risultato del lavoro fatto, auguro a tutti i colleghi che questo immenso lavoro aiuti a comprendere e a meglio trattare questa importante e difficile patologia.
Un ringraziamento particolare alla SIOT per l’impegno avuto nel riconoscere la validità di questo lavoro e un ringraziamento anche a tutti i colleghi italiani che hanno partecipato, oltre al sottoscritto e insieme a tutti i rappresentanti di 52 nazioni, al Consensus Conference:
A. Baldini; F. Catani; L. Drago; S. Esposito; M. Franceschini; N. Logoluso; E. Meani; C. Romanò; F. Traverso.