Ho incontrato la prima volta il Professor Giacomo Pisani alla fine degli anni ’70, io giovane studente di Medicina, Lui Primario della Divisione di Ortopedia di Alba. Allora non portava mai il papillon ma solo cravatte, sempre, tranne in qualche calda giornata estiva. E non fumava mai la pipa ma solo sigarette; ci raccontava che qualche tempo prima aveva provato a smettere rimediando una laringite risolta solo con generosi “aereosol di nicotina”.
In quegli anni Alba si stava trasformando da una realtà agricola in una cittadina industriale; l’Ospedale si trovava, e tuttora si trova, nel centro cittadino ed era costituito da un nucleo storico, una costruzione settecentesca con ampi ambienti e uno scalone monumentale, cui nel dopoguerra era stato aggiunto un corpo moderno.
Il reparto di Ortopedia era stato aperto una decina di anni prima da Giacomo; fino ad allora le lesioni traumatiche venivano infatti trattate da chirurghi generali.
Prima del primariato ad Alba aveva lavorato in Clinica Ortopedica a Torino diretta dal Prof. Ugo Camera occupandosi prevalentemente di patologia pediatrica.
Il reparto era sistemato nell’ala monumentale, due grandi cameroni, uomini e donne, più alcune camere di minori dimensioni, alcune a due letti. La sala operatoria era piuttosto piccola e sistemata nel piano interrato, in una posizione piuttosto infelice; per la chirurgia di elezione funzionava 3 giorni la settimana e le sedute iniziavano in mattinata alle 7; la traumatologia era relativamente scarsa e pertanto c’era spazio per la chirurgia di elezione.
Giacomo aveva ormai da anni orientato il suo interesse sulla patologia del piede dopo precedenti esperienze torinesi in chirurgia pediatrica e patologia vertebrale; sono dei primi anni ’70 gli studi sulla biomeccanica del piede, l’adesione al CIP (Collège International de Podologie) e, successivamente, come Socio Fondatore alla neonata Società Italiana di Medicina e Chirurgia del Piede; inoltre l’instaurarsi di rapporti con i maggiori cultori europei della patologia del piede del momento come Antonio Viladot, Bernard Regnauld, Adhemar de Wulf, Pierre Sholder.
Risalgono anche a quegli anni (1977) i primi corsi tenuti ad Alba con lezioni, valutazione e discussione dei casi clinici e relativo trattamento chirurgico; all’inizio i Corsisti partecipavano agli interventi direttamente in sala operatoria, in parte lavati e in parte assistendovi da vicino; solo qualche anno dopo, con gli inevitabili progressi tecnologici, fu introdotta la videotrasmissione dell’intervento.
Tra le prerogative di Giacomo è sempre stata la puntualità; non ricordo un ritardo in tutti gli anni passati assieme ma ovviamente altrettanta puntualità veniva richiesta ai collaboratori e anche a corsisti e visitatori.
L’atmosfera nella sala operatoria di Alba era particolare in quanto Giacomo richiedeva il totale spegnimento dell’illuminazione di sala e pertanto l’intervento avveniva nella più completa oscurità con la sola luce della scialitica. Durante l’intervento era prodigo di suggerimenti e consigli ma in generale dava poca importanza al gesto chirurgico in sé, nonostante l’estrema accuratezza e pulizia nell’allestimento del campo operatorio, quanto piuttosto al razionale e alle finalità: una sua frase che spesso ripeteva era “la chirurgia è ripetitiva, tutti imparano ad operare; la cosa importante sono le idee”.
Tuttavia nel gesto chirurgico ricercava in maniera quasi maniacale la precisione anatomica con l’isolamento accurato delle strutture, la preparazione dei piani, la messa in evidenza di vasi e nervi con l’aiuto di lacci di differente colore (“la chirurgia è anche un fatto estetico”).
Un’altra sua raccomandazione era l’atraumaticità, la gestione dei tessuti e delle strutture senza provocare compressioni o trazioni; una frase ricorrente era “… è ortopedia, non urtopedia, nel nostro lavoro l’unica manovra che richiede un po’ di forza è la riduzione della lussazione d’anca”.
Particolare era il suo rapporto con il Paziente. Il giorno precedente l’intervento si visitavano collegialmente i Pazienti con tutti i Medici del Reparto; dedicava parecchio tempo della visita al colloquio per avere informazioni sull’attività, le abitudini di vita e aspettative; altrettanto tempo veniva utilizzato per spiegare in dettaglio l’eventuale intervento, le modalità, le finalità, il decorso post-operatorio. Ricercava una specie di “patto per la salute” ante litteram e la fiducia reciproca tra Paziente e Chirurgo. La parola era tutto e il fatto stesso che il Paziente si fosse rivolto al Chirurgo equivaleva di per sé ad un implicito consenso; ha criticato e rifiutato per molto tempo la redazione di un consenso informato scritto considerato superfluo e in un certo senso riduttivo per i rapporti interpersonali tra medico e paziente.
Il lavoro era una parte fondamentale, essenziale della sua vita, una attività sicuramente faticosa ma mai pesante o tantomeno fastidiosa; in qualche caso dava l’impressione che l’attività lavorativa, la chirurgia o l’ambulatorio ma in particolare l’attività scientifica, avesse per lui un effetto rigenerante e ristoratore. All’epoca Power-Point non esisteva e la preparazione delle diapositive richiedeva la compilazione manuale delle scritte con appositi caratteri trasferibili adesivi, attività che eseguiva quasi sempre personalmente e che penso in qualche modo lo gratificasse.
Al di fuori del lavoro, famiglia a parte, restava ben poco. Nonostante molteplici interessi non aveva particolari hobby: nessuno sport, né seguito e tantomeno praticato, che anzi credo detestasse amabilmente nonostante i suoi rapporti scientifici con la Medicina dello Sport di Torino; una breve infatuazione per la barca ormeggiata per qualche anno a Porto Maurizio (un’altra sua frase che citava spesso “… per chi ha una barca ci sono due giorni belli, il giorno in cui la si compra ed il giorno in cui la si è venduta”), nessuna collezione, nessuna passione particolare, tranne due.
La prima era la scrittura; non solo la scrittura di articoli e testi scientifici ma la scrittura in generale con la pubblicazione di alcuni romanzi, raccolte di racconti e poesie con anche riconoscimenti ufficiali come il Premio Letterario Acqui per Medici Scrittori nel 1968; attività che ancora ha svolto negli ultimi mesi, nonostante seri problemi di vista.
La seconda le auto sportive, sulle quali aveva una cultura ragguardevole, ma che raramente utilizzava per viaggi di piacere bensì prevalentemente per spostamenti per lavoro o per congressi.
Sicuramente un grande piacere per lui era la convivialità, l’uscire a cena dopo il lavoro e intrattenersi a parlare del più e del meno, magari ancora di ortopedia e di piede, davanti a un piatto e a un bicchiere di vino; molti Colleghi che hanno partecipato ai corsi ricorderanno ancora qualche serata in una delle osterie che allora era ancora possibile trovare ad Alba.
Dopo il pensionamento nel 1991 dall’Ospedale di Alba Giacomo prosegue l’attività in forma esclusivamente libero-professionale presso la Casa di Cura Fornaca di Sessant di Torino, mantenendo e anzi incrementando l’attività scientifica, i rapporti con Colleghi Italiani e Stranieri, l’organizzazione dei Corsi annuali e di altri eventi, la redazione della Rivista “Chirurgia del Piede”.
Mi rendo conto di aver parlato poco della grande produzione scientifica, articoli, monografie, il trattato di Chirurgia del Piede, la rivista “Chirurgia del Piede”, le numerose tecniche chirurgiche descritte, il Congresso Nazionale del 1988 e i Corsi e Incontri organizzati ma si tratta di eventi noti e di materiale facilmente reperibile e consultabile.
Ritengo più importante e anche interessante l’aspetto umano e ricordare quanto ci ha lasciato.
In primo luogo la capacità di sognare, la visione onirica e romantica dell’attività, immaginando e creando con la sola forza delle idee in un piccolo ospedale di provincia le condizioni per realizzare un progetto di ampio respiro.
Poi l’estremo rigore su alcune questioni, in particolare sull’autonomia e la libertà del Medico, che lo portava a rifiutare in maniera categorica supporti da parte dell’industria medica (il Congresso Nazionale del 1988 venne ad esempio sponsorizzato dal Comune di Alba e dall’USL senza coinvolgimento di ditte commerciali).
E infine il grande entusiasmo e attaccamento alla professione e al lavoro che lo ha portato a promuovere e organizzare un 69° Corso di aggiornamento programmato per l’aprile scorso che solo la recente epidemia ha cancellato.
Un Uomo di altri tempi ma nello stesso tempo proiettato sul futuro e sull’innovazione.
Addio Giacomo, credo mancherai a tutti.