Per rivendicare a favore degli italiani le priorità che a loro spettavano non esitava a mettersi in prima linea, quasi contravvenendo al suo abituale modo di agire. Prendeva la parola in congressi o in accademie; scriveva apposite memorie, chiedendone la pubblicazione; inseriva l’argomento persino nel suo curriculum vitae, come fosse un requisito – per non dire un attestato – della sua formazione professionale. Lo fece per gli altri, soprattutto, e anche per sé stesso.
Il suo impegno in tal senso non risultò vano. Se avesse seguito la strada del silenzio e della noncuranza, il suo amico Giuliano Vanghetti non avrebbe probabilmente ricevuto tutta la gloria che meritava per l’invenzione delle protesi cinematiche. Mentre lui, Augusto Pellegrini, avrebbe per sempre lasciato al solo tedesco Alfred Stieda l’eponimo della sindrome caratterizzata dalla calcificazione del legamento collaterale mediale del ginocchio, passata alla storia come Malattia di Pellegrini-Stieda.