Scriveva in punta di penna. Il suo stile era elegante, ricercato; il suo messaggio chiaro, incisivo. Amava raccontare storielle e aneddoti personali, e ancor più trasmettere le proprie esperienze agli altri, soprattutto ai giovani. La sincerità era l’ingrediente base; con una punta di ironia e un tocco di sottile arguzia, ne venivano sempre fuori pagine gradevoli per i lettori, tutte da gustare. Se non fosse stato uno dei grandi protagonisti dell’ortopedia italiana del Novecento, parleremmo di lui come di un narratore forbito e brillante, un esponente del verismo che traeva ispirazione dalle vicende di tutti i giorni. Francesco Delitala, in realtà, fu l’uno e l’altro. E fu anche un pregevole pittore, un fine scultore, un appassionato collezionista di medaglie, un esperto bibliofilo e antiquario. Felice incrocio di vene artistiche.
Chi ebbe la fortuna di lavorare e crescere al suo fianco poté ammirarlo nelle molteplici espressioni del suo ingegno e della sua creatività, traendone i maggiori insegnamenti. Tutti gli altri dovevano accontentarsi di vederlo comparire sul palco di un congresso, o di leggere una sua pubblicazione su una rivista scientifica; ma anche per loro c’era sempre qualcosa di buono da raccogliere e da custodire. Un padre, il professor Delitala. Un punto di riferimento per un’intera generazione. Anzi, per tutte le generazioni che si è visto passare davanti nei suoi quasi cinquanta anni d’attività professionale e nei suoi cento (cento e cinque mesi, per l’esattezza) di vita vissuta.