L’ortopedia ce l’aveva nel sangue, e non era mai riuscito a spiegarsi il perché. Nessun medico nella famiglia o tra i parenti, nessuno che avesse assecondato questa sua inclinazione naturale. Piuttosto, era stato costretto a scappare di casa per iscriversi a Medicina, sottraendosi così alle mire del padre, che ne voleva fare a tutti i costi un dottore in Economia e Commercio. Fin quando un giorno – lui ortopedico già affermato – venne a scoprire per caso, sfogliando documenti dell’epoca dei Borbone, che la prima patente di acconciaossa era stata rilasciata a una sua antenata. Suggestionato dalla rivelazione, aveva finalmente dato un senso a quella passione che gli era divampata dentro fin da ragazzino.
L’aneddoto, con quel pizzico di fantasia che non guasta, fa da introduzione al libro autobiografico che il prof. Vittorio Monteleone ha recentemente mandato in stampa, dal titolo convenzionale per quanto autentico: “Una vita per l’ortopedia”. Narrazione piacevole e leggera di un lungo passato, che l’autore ripercorre – rivolgendo lo sguardo indietro – con gli occhi ancora limpidi dei suoi 89 anni e l’animo sereno di chi sa di avere sempre affrontato l’impegno professionale con la massima dedizione.
Il racconto della sua vita parte dal paese natale, San Nicandro Garganico, da quel colle affacciato sui laghi di Lesina e di Varano che scambiano le loro acque col limitrofo Mare Adriatico. Qui, infanzia e adolescenza spensierata, ma la mente già rivolta a quella facoltà di Medicina e Chirurgia intravista nei sogni, e che poi – sfidando la volontà paterna – diventa realtà all’Università La Sapienza di Roma. C’è l’ortopedia nelle sue aspirazioni specialistiche, nient’altro. Sceglie Napoli per proseguire il suo cammino, spinto anche dal bisogno di rincorrere il sorriso di Rita, la fidanzata. È il 1956; da allora, l’amore per la disciplina chirurgica tanto agognata, per la città partenopea che lo ha accolto e, soprattutto, per la famiglia che formerà assieme a Rita (quattro figli, e poi nipoti e pronipoti), cementerà legami indissolubili.
Si sentono rivivere emozioni nei ricordi della carriera professionale. Il lungo assistentato in Clinica Ortopedica, alla corte del maestro Pasquale Del Torto; il ruolo di aiuto all’Ospedale Cardarelli, al fianco del prof. Eugenio Iannelli; quindi il primariato all’Ospedale Incurabili, seguìto – in una continua ascesa di importanza e di prestigio – da quelli dell’Ospedale San Paolo e nuovamente del Cardarelli (la cui facciata storica fa da copertina al libro, a indicare l’impronta lasciata nella memoria dell’autore). E ancora, i viaggi di studio all’estero, i tanti contributi scientifici, la presidenza SIOT.
Nella lunga sezione (quasi metà delle 195 pagine) riservata a fotografie e copie di documenti, uno di questi ha colpito la nostra attenzione. Riguarda il diploma del “Premio Bellando Randone”, assegnato dalla Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia al prof. Monteleone (e ai suoi collaboratori) nell’ottobre del 1980, per la pubblicazione “Tecniche e problemi di chirurgia del ginocchio”. Un documento che svela – in maniera incontestabile – una omissione del sottoscritto in un articolo comparso qualche mese fa sulla nostra rivista, proprio inerente alla storia del premio, che nella tabella sinottica finale non citava tra i vincitori titolo e autori di quest’opera. Precisazione doverosa, ancor più se si considera che il diretto interessato – con la signorilità che lo contraddistingue – aveva fatto passare in silenzio la sua giusta rivendicazione.