Le fratture sovracondiloidee dell’omero sono la più comune lesione scheletrica del gomito in età infantile, con un picco massimo di incidenza tra i 5 e i 7 anni in entrambi i sessi e una prevalenza del lato sinistro.
La frattura sovracondiloidea dell’omero del bambino è causata, nel 98% dei casi, da un trauma accidentale per caduta dall’alto; più precisamente, nei bambini al di sotto dei 3 anni è spesso dovuta a caduta dal letto, da una sedia o dalle scale mentre nei bambini di età superiore da caduta da attrezzature presenti nei parco giochi o altrimenti durante lo svolgimento di attività ginnico-sportive.
Nei bambini al di sotto dei 15 mesi di età questo tipo di frattura è rara specialmente se la rima di frattura è obliqua o spiroide; va tenuta in considerazione, in questi casi, l’ipotesi di maltrattamento.
Il meccanismo traumatico più comune è quello di una caduta con polso e gomito in estensione e avambraccio in pronazione. In questa situazione il gomito si trova in condizione di “blocco articolare”; lo scarico delle forze si esplica sulla paletta omerale, provocandone la frattura.
Più raramente, solo nel 2% dei casi, il meccanismo traumatico è per caduta con gomito posto in flessione.
In rari casi è possibile il riscontro di una frattura trasversale dell’epifisi che presenterebbe quindi un quadro di frattura mista sovra-diacondiloidea, lesione più tipica dei pazienti più grandi.
La frattura e più precisamente la scomposizione dei suoi frammenti viene comunemente inquadrata seguendo la classificazione di Gartland che prevede i seguenti tre tipi:
Tipo I: frattura composta;
Tipo II: frattura scomposta (ma con corticale posteriore integra);
Tipo III: frattura scomposta senza contatto tra i monconi.
Nei casi di scomposizione di Tipo III secondo Gartland l’orientamento della paletta omerale consente di distinguere 2 sottotipi:
scomposizione in direzione postero-mediale;
scomposizione in direzione postero-laterale.
Nei casi di importante scomposizione, all’esame clinico il gomito si presenta tumefatto e con una importante alterazione del profilo anatomico; è frequente il riscontro di ecchimosi della fossa antecubitale (anche detto segno di Kirmisson), a volte associata a plicature della cute particolarmente quando il frammento prossimale abbia perforato il muscolo brachiale.
Al momento del primo esame clinico è importante valutare: la presenza o assenza del polso radiale, se la mano è calda o fredda, il tempo di “refill” capillare, il turgore del polpastrello, la funzionalità dei nervi mediano, interosseo anteriore, radiale e ulnare.
L’esame della sensibilità non è di semplice esecuzione nel bambino piccolo come talvolta non lo è nemmeno quello motorio; è utile informare i genitori di questa situazione come anche che le lesioni neurologiche sono spesso conseguenza diretta del trauma e che una più accurata valutazione sarà possibile solo dopo la stabilizzazione e l’immobilizzazione della frattura e cioè in assenza di dolore e di ansia post-trauma.
La valutazione radiologica è basata sulle due proiezioni standard in antero-posteriore e latero-laterale, sebbene sia spesso difficile, per la difficoltà nel posizionamento del bambino, per la frattura stessa e per il dolore alla mobilizzazione, ottenere nell’immediato periodo post-trauma proiezioni precise.
Il trattamento delle fratture di Tipo I è l’immobilizzazione in apparecchio gessato brachiometacarpale per 4-6 settimane (i tempi variano in relazione all’età del bambino).
Per le fratture di Tipo II è necessario eseguire una manovra riduttiva prima dell’immobilizzazione in apparecchio gessato. La riduzione in flessione del gomito è necessaria per correggere la posizione in iperestensione del frammento distale che, se mantenuta, potrà portare a viziose consolidazioni. Il rimodellamento osseo post-traumatico, presente nei bambini, rimarrà tuttavia in queste situazioni un possibile fattore di correzione spontanea.
Nelle fratture di Tipo II è necessario eseguire un controllo radiografico post-riduzione e un successivo controllo a 7-10 gg; quest’ultimo per documentare il mantenimento della riduzione precedentemente ottenuta.
Se nelle fratture di Tipo II è presente un vizio di rotazione del frammento distale si rende a volte necessario la riduzione in narcosi, eventualmente associata a osteosintesi percutanea in caso di instabilità della frattura.
Le fratture con scomposizione di tipo III hanno indicazione alla riduzione incruenta o cruenta e all’osteosintesi mediante fili di Kirschner (fili di K.).
Aldilà della chiara indicazione al trattamento chirurgico delle fratture di Tipo III, diversi sono i quesiti che si pongono sulle modalità più specifiche del trattamento e sul comportamento da adottare in presenza di alcune complicanze, soprattutto immediate, ad esse associate.
Scopo del presente studio è stato quello di eseguire un’analisi accurata della letteratura presente sull’argomento al fine di individuare informazioni utili per un approccio uniforme e quanto più possibile basato sull’evidenza, per il trattamento delle fratture sovracondiloidee dell’omero di Tipo III nel bambino.