Il trattamento di una qualsivoglia frattura deve soddisfare tre obiettivi fondamentali: ripristino della funzionalità, attenuazione del dolore ed al tempo stesso riduzione al minimo dei rischi generali e locali per il paziente. In un soggetto con fratture conseguenti ad un politrauma, questi obiettivi rimangono sì cruciali, ma risultano anche subordinati alla sopravvivenza stessa del paziente e alla prevenzione delle complicanze, sia dello stato generale che della funzionalità dei vari organi. Diversi fattori potranno in effetti alterare le normali priorità e costringere a compromessi nella scelta delle strategie terapeutiche, così come nelle aspettative dei risultati. Tali fattori includono la fisiologia del paziente, la complessità della frattura e delle lesioni delle parti molli, le limitazioni logistiche imposte dalle lesioni associate o da apparecchi esterni (ad es. apparecchi gessati, pace-makers, fissatori esterni, cateteri, stomie) senza contare i possibili impedimenti di comunicazione causati dall’obtundimento o coma del paziente. La riduzione e la stabilizzazione delle fratture, specie delle ossa lunghe, ma anche dell’arto superiore, sono oggi trattate con successo con metodiche standardizzate in ogni ospedale. Esistono in Italia centri di eccellenza e sono senza dubbio la maggioranza, nel pubblico e nel privato, per la cura di lesioni traumatiche scheletriche isolate, mantenendo viva la più nobile tradizione ortopedica italiana. Sono viceversa meno numerosi i Trauma Center. Negli Stati Uniti la percentuale di Level One Trauma Centers è elevata e consente di trattare in emergenza i pazienti politraumatizzati ed in urgenza anche coloro che hanno riportato fratture semplici od isolate. Scopo di questa revisione è favorire appunto il riconoscimento e la comprensione delle differenze tra il trattamento delle fratture isolate (fracture care) ed il trattamento delle fratture nel paziente politraumatizzato (orthopaedic trauma surgery).